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30/12/2019
Ciò che distingue le offerte dei diversi territori italiani che pongono al centro la leva enogastronomica non è solo la qualità, ma soprattutto la capacità di proporre e vendere in modo sistematizzato e marketing oriented una filiera di servizi, luoghi ed “esperienze”. Comporre pacchetti turistici in grado di ottimizzare i plus di un territorio fra ospitalità, enogastronomia, escursionismo, paesaggio, arte, cultura, eventi e intrattenimento, significa darsi l'opportunità di diventare più competitivi sul mercato. La creazione di prodotti qualitativamente più evoluti da questo punto di vista può certamente andare a vantaggio del turista e delle economie locali e nazionali.
Il turismo esperienziale si avvale di queste attrattive segmentando l'offerta in modo strategico in considerazione delle diverse categorie di viaggiatori che è possibile coinvolgere attraverso prodotti più o meno profilati. Dal canto suo il turista si è evoluto e va alla ricerca di nuovi luoghi, ma anche di nuove esperienze, possibilmente indimenticabili, diventando egli stesso protagonista, al centro di un ecosistema da esplorare in modo multisensoriale ed emozionale. In questo il marketing ha saputo rispondere efficacemente con nuove teorizzazioni, focalizzandosi principalmente sulla centralità dell'individuo e dei suoi bisogni.
A proposito del principio di multisensorialità, oggi si parla di una nuova disciplina la gastrofisica, teorizzata da Charles Spence – lo psicologo britannico autore di “Gastrophysics, The new science of eating” - una scienza destinata a studiare i fattori che influenzano i nostri sensi mentre mangiamo e beviamo. L'ambito analizzato si estende alla vista e all'olfatto oltreché al gusto naturalmente. Il food design, ad esempio, trova linfa vitale nella globalità della food experience con la sua riproducibilità, enfatizzazione e moltiplicazione dell'esperienza reale che viene superata grazie alla condivisione social. In questo senso espressioni come “mangiare con gli occhi” sono molto eloquenti. Così come è ben noto a tutti l'incidenza delle esperienze olfattive in relazione alla percezione della bontà di un cibo nonché il patrimonio di sensazioni condivise fra olfatto e gusto.
L'enogastronomia nel turismo gioca dunque un ruolo primario in un paese come l'Italia, tradizionalmente votato all'arte culinaria, che presenta tante cucine quante sono le sue regioni da nord a sud, fino alle isole. Senza considerare che il cibo, la cucina e la convivialità si riconfermano in tutte le epoche driver formidabili nel condurre un turista viaggiatore alla scoperta di un popolo. Il cibo è infatti associabile al concetto di identità culturale, ma anche di interculturalità perché rientra nei processi di familiarizzazione e conoscenza delle culture in modo più diretto essendo l'esperienza più “memorabile”, “impressionante” e “da testimoniare” che il turista possa portare con sé dopo avere visitato un luogo. Il cibo, infatti, ha il potere di generare empatia o rifiuto anche in considerazione del fatto che l'esperienza della scoperta è comunque associata a un bisogno primario e dunque alla necessarietà, così come le relazioni umane sono indispensabili nel bene e nel male.
In grandi città come Milano, lo sviluppo urbanistico degli ultimi anni ha virato verso nuovi format di coesistenza sempre più “promiscua” tra food e attività umane che risultano molto attrattivi in senso turistico perché intercettano un trend internazionale, un posizionamento dal sapore molto contemporaneo che il turista si aspetta di trovare nelle maggiori città del mondo a qualunque latitudine si trovi.
Gli amministratori e gli imprenditori dei diversi settori hanno ben compreso come da questo punto di vista la leva del marketing territoriale sia fondamentale per posizionare le città e renderle competitive e come la ridefinizione degli spazi, dei modelli, dei servizi etc. siano centrali in questo processo evolutivo ispirato alle best practice internazionali, per attrarre investimenti e produrre ricchezza con il turismo.
Chi vive e lavora nelle grandi città ha innumerevoli possibilità di condurre le proprie giornate fuori di casa facendole scandire da “momenti food” e calandosi totalmente nei nuovi format dell'interazione professionale, del retail e del sociale quali ad esempio i coworking aperti 24 su 24 o i concept store spesso un tutt'uno con le aree ristorazione, i bar per gli aperitivi o i gourmet market. In sintonia con i nuovi modelli urbani si è passati dal doversi alimentare all'esperienza multisensoriale del cibo e all'integrazione del cibo stesso con le altre attività umane in contesti di relazione h 24 coinvolgenti dal punto di vista del design, attrattivi dal punto di vista della socialità e inclusivi. Spesso nella proposta “urban food” compaiono ricette stellate e proposte d'autore, piatti fusion o di provenienza estera o piatti tipici delle cucine regionali italiane quali ad esempio la pizza gourmet, un prodotto nobilitato dal marketing a tutti gli effetti “glocal” cioè globale e locale allo stesso tempo. E questa è una delle contraddizioni di un fenomeno che in alcuni casi tradisce le aspettative, nel senso che non tutte le iniziative imprenditoriali legate all'esportazione di modelli d'eccellenza si trasformano in casi di successo. E ciò per i più svariati motivi essendo molteplici i fattori che concorrono al successo di un'impresa.
Nei borghi l'esperienza enogastronomica nel turismo ha caratteristiche differenti perché si lega a percorsi di unicità, espressione dei singoli territori e delle comunità locali improntati più a modelli slow tourism che al turismo dal consumo rapido e “vorace”. In questo caso l'unica omologazione concessa è quella degli standard qualitativi dei servizi su cui occorre vi sia convergenza a livello internazionale per mantenere alto il tasso di competitività. Da questo punto di vista le difformità fra i diversi territori sono ancora molte.
Nell'Italia rurale l'offerta del turismo enogastronomico è estremamente variegata e legata alle tipicità. Infinite le segmentazioni possibili fra esperienze food & wine. Si pensi all'enoturismo ormai considerato in molte aree geografiche una forma di turismo irrinunciabile legato alle produzioni vitivinicole e all'esperienza in cantina, così come al fiorire di “strade dell'olio e del vino” che accorpano più aziende e distretti produttivi nell'opera di promozione e valorizzazione territoriale articolata per itinerari del gusto spesso in abbinamento al food.
Fra i trend più attuali e di ultima generazione, il turismo dell'olio si sta affacciando con maggiore decisione rispetto al passato cominciando a incalzare quello del vino che ha assunto negli anni un ruolo decisivo negli interventi di rilancio di molti territori italiani anche a livello internazionale, interventi spesso finanziati dall'Unione europea.
È dello scorso 10 dicembre l'approvazione di un emendamento che estende dal 1° gennaio 2020 alle attività di “oleoturismo” le disposizioni della legge di bilancio 2018 relative all'attività di enoturismo (determinazione forfettaria del reddito imponibile ai fini IRPEF). Per attività di “oleoturismo” si intendono tutte quelle di conoscenza dell'olio d'oliva espletate nel luogo di produzione, e consistono nelle visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione dell'ulivo, nella degustazione e nella commercializzazione delle produzioni aziendali dell'olio d'oliva, anche in abbinamento ad altri alimenti, in iniziative a carattere didattico e ricreativo nell'ambito dei luoghi di coltivazione e produzione. Dal 1° gennaio 2020, dunque, le disposizioni di cui all'art. 1, commi da 502 a 505 della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) - relative all'attività di enoturismo verranno applicate anche alle attività di “oleoturismo”.
Emblematico e di grande attualità dunque il caso dell'olio come attesta il Rapporto “La valorizzazione turistica dell'olio” redatto dalla professoressa Roberta Garibaldi - fra i più autorevoli esperti di turismo enogastronomico - presentato a Siena lo scorso 6 dicembre.
“Se è abbastanza scontato l'interesse dei turisti nel voler abbinare alla visita al frantoio l'acquisto di prodotti a prezzi interessanti, assistere alla produzione dell'olio e partecipare alle tradizionali degustazioni o visite guidate, analogamente a quanto già avviene per il vino, si rileva un forte interesse per un diversificato range di esperienze. In primis la partecipazione attiva alle attività di produzione, con il 61% dei viaggiatori a cui piacerebbe partecipare alla raccolta delle olive e produrre il proprio olio. Quindi le attività artistiche negli uliveti (41%), i turisti si mostrano particolarmente curiosi nello scoprire gli aneddoti dell'azienda e del territorio dove essa opera (64%), oltre che nel conoscere e interagire direttamente con il proprietario (57%). La degustazione si conferma un elemento di grande attrattiva per questi turisti, ma con un forte interesse a una esperienza più completa: infatti il 79% vorrebbe poterla abbinare a piatti e specialità del luogo, il 69% vorrebbe vivere esperienze culinarie negli uliveti. Un forte apprezzamento è espresso verso i frantoi storici (76%) e le distese di ulivi secolari (70%). Il desiderio di scoperta dell'olio non si limita al solo luogo di produzione. Ben il 60% dei turisti italiani vorrebbe poter degustare diverse tipologie di olio e trovare una carta dell'olio specifica in abbinamento ai piatti proposti dai ristoranti. Accanto a ciò sarebbe gradita una spiegazione da parte di chi è preposto al servizio, così da indirizzare al meglio le scelte del consumatore. Emerge la necessità di andare oltre l'offerta tradizionale – per lo più legata alla visita ai luoghi di produzione e alle degustazioni – e costruire proposte ampie, segmentate in grado di stimolare la curiosità e la partecipazione attiva del visitatore. A tale proposito diventa quindi fondamentale formare gli operatori affinché siano in grado di soddisfare professionalmente questo aspetto. Il 49% degli italiani desidererebbe visitare un Museo Nazionale dell'Olio, un luogo dove scoprire e sperimentare questo importante prodotto. Il Rapporto evidenzia inoltre che il 55% dei turisti interessato alle esperienze a tema olio non vi ha tuttavia partecipato nel corso dei suoi più recenti viaggi e ciò per mancanza di adeguata informazione a riguardo. Ciò indica un possibile deficit di comunicazione e promozione dell'offerta che quindi influenza negativamente il desiderio; in seconda battuta, la mancanza di interesse che può essere legata a tipologie di proposte poco seducenti e appetibili per il pubblico. Lo sviluppo dell'attrattività delle esperienze a tema olio non passa esclusivamente attraverso l'implementazione dell'offerta turistica in azienda: un elemento rilevante è la capacità delle singole destinazioni di integrare la medesima all'interno del portfolio turistico, a partire dalla ristorazione e la ricettività fino a giungere a proposte culturali. Il Rapporto evidenzia come il turista che desidera partecipare a esperienze a tema olio abbia caratteristiche trasversali. Questa propensione prescinde dall'area di residenza, dall'età e dalla fascia di reddito: un dato interessante da sottolineare è infatti la presenza di turisti di età “matura”, ossia i Boomers, mentre minore è quella dei più giovani” (tratto da “Olio e turismo: un legame da potenziare e valorizzare per diffondere la cultura della qualità” di Roberta Garibaldi).
Certo è che vi è ancora molto da fare e da sistematizzare per dare maggiore impulso al turismo enogastronomico nel suo complesso, considerato che l'esperienza legata al food, come abbiamo visto, è multisensoriale. Non sembra essere un caso che uno degli hastag più utilizzati nei social è #foodporn, molto eloquente rispetto alla capacità di attrarre interesse negli utenti. Un dato significativo: il cibo nelle ricerche in rete è secondo solo al porno.
La progettazione in senso turistico dell'esperienza enogastronomica, per sua stessa natura, può e deve essere posta in relazione con altri ambiti. In Italia una maggiore capacità organizzativa e una migliore comunicazione verso i diversi target potrebbe giovare al turismo e supportare tutta una serie di primati italiani a livello mondiale legati al food & wine (produzioni agroalimentari d'eccellenza, cucine regionali, chef stellati, tipicità, dieta mediterranea, vini pregiati, olio extravergine di oliva etc.) con ricadute positive sull'intera economia nazionale e locale.
Marina Ricci – Redazione ACT